RITENUTE D’ACCONTO: LA CONFUSIONE E’ ASSOLUTA

Le ritenute d’acconto, ogni giorno, si arricchiscono di un nuovo capitolo della Cassazione. Il problema è che in materia penale e tributaria le interpretazioni vanno in direzioni discordanti.
In campo tributario la Suprema Corte ha statuito una coobbligazione di fondo tra sostituto e sostituito, argomentando, fin dalla sentenza 14033/2006, che nella norma (art.64 D.P.R. 600/73 e art.35 D.P.R. 602/73) si rileva il fatto che il sostituito, fin dall’origine, è il debitore dell’imposta ed è soggetto a tutte le conseguenze, accertamento compreso. Questa statuizione, a nostro parere forzata, oltre che a porre nell’aleatorietà totale lo scomputo della ritenuta subita dal sostituito, è venuta a far perdere forza al ruolo delle certificazioni rilasciate dal sostituto, che, invece, in sede penale hanno assunto un ruolo sempre più centrale.
Le sentenze della Cassazione penale n. 40526/2014, n. 17710/2015 e n. 5736/2015 hanno stabilito che il reato di omesso versamento ha come elemento costitutivo il rilascio delle certificazioni (ex art.4 D.P.R. 322/1998, ora certificazione unica) attestanti le ritenute effettivamente operate, unite al contenuto della dichiarazione 770. Ancora più esplicativo è il fatto che venga detto che non viene punito l’omesso versamento delle ritenute risultanti dal 770 ma l’omissione del versamento di quelle risultanti dalle certificazioni, in ossequio al fatto che il 770 è una dichiarazione di scienza, quindi modificabile, mentre la certificazione ha valore assoluto.
La domanda è: ha ragione la Sezione penale o la Sezione tributaria della Cassazione?
Il vero problema è che, così come concepito, il sistema dei sostituti d’imposta necessita di una radicale riforma o va abrogato quale inutile e anacronistica complicazione affetta da gravi patologie confusionali.

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