La sentenza della Suprema Corte n. 24823/2015, con un percorso solo in parte condivisibile, ha statuito che il contraddittorio vada instaurato solo per i casi espressamente pervisti dalla legge italiana nonché per quelli individuati dal diritto e dalla giurisprudenza dell’Unione Europea. Gli argomenti che non hanno potuto essere esposti in sede di contraddittorio, in base a quanto stabilito dalla sentenza “Kamino” della CGCE, devono essere espressione di un’effettiva linea difensiva non puramente formale e non espressione di un intento di disturbo o dilatorio: le argomentazioni per il contraddittorio devono essere quindi plausibili. Solo in tale evenienza l’eccezione di nullità, sollevata in sede di primo atto difensivo, può essere accolta.
La Cassazione ha inoltre precisato che il contraddittorio di derivazione comunitaria va applicato solo alle imposte armonizzate (IVA, dazi doganali, accise etc.).
Rimangono quindi escluse dal contraddittorio le imposte dirette (IRES, IRPEF e IRAP), regolate dal diritto interno. A nostro parere questa statuizione va limitata nella sua portata.
Mentre, da un lato, questa impostazione risulta corretta (anche se non condivisibile) per voci che fanno capo ad acconti, saldi d’imposta, ritenute d’acconto e simili, dall’altro risulta gravemente errata per tutti i casi in cui la base imponibile del tributo armonizzato coincide con quello dell’imposta diretta italiana.
Va ricordato che l’armonizzazione dei tributi comunitari (IVA e altri tributi) non solo verte sull’imposta in senso stretto ma anche sulla loro base imponibile. Conseguenza è che, in materia IRPEF e IRES, sussiste l’obbligo comunitario di contraddittorio preventivo quando le medesime somme oggetto di contestazione fiscale costituiscono presupposto dell’IVA o di altra imposta armonizzata (ad esempio, per l’IVA, ai sensi degli artt. 75 e 176 della DIR. 2006/112/CE del Consiglio). Contrariamente si avrebbe una violazione delle statuizioni della CGCE e del diritto dell’Unione europea, con un trattamento duplicato e potenzialmente confliggente della base imponibile del tributo armonizzato, che potrebbe portare a problematici risultati antitetici.
Tale evenienza configurerebbe una violazione dell’art.97 Cost. per il doppio e diverso trattamento dell’imposta di derivazione comunitaria e della sua base imponibile, con eventuali risultati tra loro inconciliabili (es: detraibilità dell’IVA / indeducibilità della sua base imponibile) che verrebbero ad invalidarsi vicendevolmente. Ai fini di un’interpretazione costituzionalmente orientata, gli aspetti dei tributi armonizzati e II.DD. vanno trattati insieme per intima e rafforzata connessione, con attrazione dei secondi agli obblighi comunitari (contraddittorio), che prevalgono sul diritto interno.
Va anche detto che quando la base imponibile del tributo armonizzato e II.DD. è la medesima, il contraddittorio – obbligatorio – svolto con riguardo alla prima imposta non può che esplicare effetti anche sulle seconde; invero è inammissibile che l’Ufficio, ad esempio, tenga conto delle considerazioni fatte in sede di contraddittorio solo con riguardo all’IVA e ometta di trarre dai risultati cui è pervenuto le opportune considerazioni in materia di II.DD. Ne deriva, in questo caso, che l’omissione del contraddittorio relativamente al tributo armonizzato determini automaticamente l’illegittimità dell’accertamento anche con riguardo alle II.DD., nonostante queste ultime non siano tributi armonizzati.
La Sentenza 24823 va dunque rivista con una significativa correzione di rotta.
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