LA RIFORMA FANTASMA DEL CONTENZIOSO TRIBUTARIO

RIFORMA FANTASMA DEL CONTENZIOSO TRIBUTARIO.

Alcune settimane fa ebbi l’occasione di leggere, su un quotidiano economico, che era in arrivo una riforma del contenzioso tributario.
Punti salienti erano la creazione della sezione tributaria del tribunale, con il conseguente passaggio di competenze dal MEF al Ministero della Giustizia, l’eliminazione della mediazione e del reclamo per un accesso più celere alla definizione contenziosa delle liti tributarie. Oltre a questo veniva riequilibrato il rapporto Amministrazione-contribuente con una parificazione a livello processuale.
Oggi ho letto lo schema di decreto: niente di questo è più previsto. Le Commissioni Tributarie persistono e restano sotto il controllo del MEF, il reclamo anziché scomparire è stato allargato anche alle imposte locali e alle tasse comunali. La competenza della Commissione Tributaria è stata abrogata per alcune imposte comunali (per queste si rimane in attesa di sapere se si dovrà ricorrere al TAR o al Tribunale ordinario). Viene allargata la conciliazione anche ai gradi di giudizio superiore (CTR e Cassazione). Persiste la mediazione.
L’aver mantenuto il reclamo è evidentemente contro le “proclamate” intenzioni: i tempi saranno più lunghi anche per i tributi che ora sono esclusi e lo squilibrio creato da questo vantaggio per l’amministrazione viene esteso ad altre imposte. Ricordiamoci che il contribuente, per far capire all’amministrazione che sta sbagliando, di solito si presenta al contradditorio endoprocedimentale, ormai esteso a qualunque forma di accertamento, in cui spiega esaurientemente le sue ragioni, poi, avuto l’avviso di accertamento, presenta l’istanza di autotutela, regolarmente disattesa e molto spesso neanche letta, richiede quindi l’accertamento con adesione, in cui spiega di nuovo le proprie ragioni, e infine, rifiutato anche questo, deve presentare il proprio ricorso con un’istanza che richiede all’amministrazione di rivedere le sue determinazioni. In pratica il contribuente deve spiegare quattro volte all’amministrazione che ha sbagliato, come se avesse a che fare con un essere incapace di comprendere il significato delle parole.
Mi pare evidente che il reclamo sia un inutile orpello, ritenuto invece utile dall’amministrazione per poter evitare di prendere in mano le pratiche, affidandole in ultima istanza agli uffici legali: l’eliminazione del reclamo è quindi una questione di civiltà che obbliga finalmente i dirigenti, come da art.17 del D. Lgs. 165/2001, a procedere al controllo sull’operato dei responsabili della pratica, oggi abbandonati al loro destino, evitando di far uscire dall’amministrazione accertamenti completamente slegati dalla logica e dalla legge.

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